Istituto “GUGLIELMO MARCONI”

Classe 5° AS Scienze Umane

Docente referente: Rolando Mariola Mariagrazia

La donna nel Novecento:
il percorso verso la pari dignità sociale

Prof.ssa Rolando Mariola Mariagrazia

Presentazione della canzone
``2 giugno 1946``

Per la stesura della canzone “ 2 giugno 1946”, ci siamo lasciati ispirare dal romanzo Fiori di roccia di Ilaria Tuti.
Il romanzo racconta la storia di Agata, una giovane italiana, originaria di Timau, sulle Alpi Carniche, che durante gli anni del Primo conflitto mondiale si è adoperata per sostenere e aiutare i soldati al fronte, diventando una portatrice. Basandoci su quanto raccontato dalla Tuti, abbiamo ripercorso le vicende di Agata e abbiamo immaginato come avrebbe potuto affrontare i successivi avvenimenti storici che hanno coinvolto l’Italia.

Nella prima strofa abbiamo ricostruito il momento in cui la protagonista, alle prime luci del giorno, parte insieme alle compagne per il fronte della Carnia, trasportando gerle vuote che ben presto vengono riempite con munizioni, armi e viveri.
Il colore rosso associato all’alba non solo è in forte contrasto con il sangue, ma è anche fortemente simbolico poiché rimanda al bracciale rosso, su cui era stampato il numero del reparto al quale erano state assegnate.
L’associazione metaforica delle portatrici ai fiori di roccia deriva dalla loro forza e resilienza, la stessa che permette alle stelle alpine di crescere in territori impervi. Infatti, nonostante le schiene curvate sotto il peso del carico, le salite erte e scoscese che dovevano percorrere quotidianamente e lo scempio cui le portatrici assistevano costantemente, i loro occhi lasciavano trapelare forza e tenacia.

Nella seconda strofa, invece, abbiamo affrontato il tema della disperata ricerca di un
sostegno, che spesso si identifica nel nemico. Nel romanzo, infatti, Agata e il soldato
austriaco Ismar abbattono i muri della diffidenza reciproca e donano l’un l’altro la pace tanto agognata, riconoscendo di essere entrambi parte della stessa umanità.
In questo contesto si invertono i ruoli: la donna si prende cura dell’uomo, si adopera per il riconoscimento dei cadaveri, fornisce aiuto ai soldati…
Questi gesti politici, che spesso costavano la vita alle fautrici, hanno contraddistinto
soprattutto le donne della Seconda Guerra Mondiale che hanno partecipato alla Resistenza, attraverso l’assistenza ai partigiani, la partecipazione militare, la collocazione politica nei “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà” e la diffusione tra le brigate di notizie, ordini e stampa clandestina nelle vesti delle cosiddette “staffette”.

Nella terza strofa, infine, siamo arrivati a parlare degli articoli della nostra Costituzione, stesa all’indomani delle elezioni del 2 giugno del 1946, a cui presero parte anche le donne.

Il testo del ritornello è strettamente collegato a questo evento. Esso infatti fa proprio
riferimento al suffragio universale del 1946. Questo episodio rappresenta quindi l’alba di qualcosa di nuovo e promettente sulla strada dell’emancipazione della figura femminile. Il giorno più importante fu il 2 giugno e, nella stesura del testo, abbiamo immaginato le donne che, finalmente libere di partecipare alla vita politica, si dirigono alle urne come “farfalle in volo”.

Grazie all’azione delle 21 donne facenti parte della Assemblea Costituente, oggi è possibile parlare di uguaglianza giuridica e di parità di genere.
L’articolo ritenuto più importante ed emblematico è sicuramente l’Articolo 3, che sancisce la pari dignità sociale dei cittadini davanti alla legge, senza alcuna distinzione di sesso, razza, lingua, religione…
Gli articoli della carta costituzionale che difendono i diritti delle donne e la parità tra i sessi sono molteplici, come l’articolo 29, che introduce l’uguaglianza morale e giuridica dei due coniugi all’interno del matrimonio; l’articolo 31, che protegge la maternità, l’infanzia, la gioventù; o ancora l’articolo 51, che garantisce l’accesso delle donne a tutte le cariche, anche alla magistratura.
Molte altre normative sono state varate nel corso degli anni per raggiungere la totale
emancipazione femminile.
Come viene evidenziato nella parte conclusiva della canzone, questo è quanto scritto nella carta costituzionale. Tuttavia, nella realtà esiste una forte discrepanza tra legislazione e attuazione dei diritti delle donne. Sappiamo che è necessario ancora molto tempo per poter realizzare appieno l’uguaglianza di genere. Ciononostante, le donne devono conservare lo stesso sguardo propositivo verso il futuro, come hanno fatto per secoli, e abbandonare il timore di non essere all’altezza.

(Le informazioni contenute sono state, in parte, ricavate dall’incontro del 12 marzo 2024 con la professoressa Graziella Gaballo e l’avvocato Matilde Bellingeri, alle quali vanno i più sentiti ringraziamenti)

Il brano è stato inciso come base musicale di un video realizzato con le immagini storiche delle donne protagoniste della storia drammatica dei due conflitti mondiali e del 2 giugno 1946.

DALPALCO DEL 25 APRILE - Leggi l'intervento

IIS Marconi - Lucrezia Teti

Non parlerò di storia, perché 5 minuti sono troppo pochi per raccontare delle vite e sono fin troppi per dire delle banalità.

Ma, soprattutto, perché nessuno di coloro di cui parleremo pensava di diventare storia quando ha vissuto, ma piuttosto pensava a stare attaccato alla vita: sopravviveva alla giornata, sperando in quella seguente, e poi in quella seguente.

La storia non esiste: esistono le vite perdute e dimenticate di tutti coloro che la storia ha cancellato per sempre. Facciamo allora parlarle queste vite, poiché il dolore degli altri è il nostro: sentirlo ci rende umani. 5 minuti sono troppo pochi per raccontare una storia, ma sono abbastanza per sentirla dentro di sé: non basta studiare qualcosa per non dimenticarlo, e non basta nemmeno capirlo: è vitale sentirlo, comprenderlo, trovarlo dentro di noi.

Abbiamo molti modi di studiare la storia, ma solo un modo di comprenderla: ascoltare chi l’ha fatta, e tentare di riconoscersi, a distanza di tempo, usi e costumi, nella loro umanità. Forse, scavando così, troveremo la nostra.

E so che questa giornata avrebbe dovuto essere dedicata alla forza delle donne, per convincere tutti che loro sono state forti tanto quanto gli uomini, ma io non credo che serva convincere nessuno: io credo invece che bisogni mostrare la debolezza delle donne e degli uomini di fronte all’obbrobrio della guerra. Le donne hanno perso tanta famiglia quanto gli uomini, hanno scritto lettere senza risposta tanto quanto gli uomini, sono state fasciste tanto quanto gli uomini, e ci siamo dimenticati di loro tanto quanto degli uomini. Vedete, non sapremo mai quanto sangue il mondo ha sulle mani e quante vite sulla coscienza: noi non sappiamo quanta gente abbiamo dimenticato, non sappiamo quanta gente ha provato questo dolore in tanti modi diversi che nemmeno il migliore dei poeti può riassumerlo in parole. Noi non abbiamo la possibilità di descrivere gli orrori che abbiamo combinato, poiché non abbiamo nemmeno la possibilità di conoscerli nella loro interezza, nella loro verità. Allora forse dovremmo soltanto ricordarci di tutta la gente che abbiamo dimenticato, e sperare che almeno l’universalità della poesia e dell’arte non faccia distinzione tra i sommersi e i salvati, i forti e i deboli, ma consegni alla Storia la vicenda dei giusti.

Questa consolazione è forse magra e illusoria, ma che altro antidoto avete alla morte, se non sperare che almeno la Storia sia dalla parte non tanto di coloro che ce l’hanno fatta a scrivere la loro pagina, ma anche di coloro ai quali la pagina è strappata? Noi vediamo solo la punta dell’iceberg di tutte le tragedie, ma sotto giacciono infiniti imperscrutabili. Il mistero della vita altrui non ci è dato conoscere, ma quantomeno sentire. Siamo umani, possiamo sentire il dolore altrui: dobbiamo. Abbiamo perso molta più storia di quanta ne riusciremo mai a scrivere: allora verrà il giorno in cui non ci rimarranno né i nostri cari ricordi né la nostra sudata concezione del presente, ma soltanto i nostri sentimenti, e allora questi ci connetteranno sempre al mondo, perché questi ci rendono umani. Possiamo perdere noi stessi come abbiamo perso gli altri, ma ciò non significa non esistere più: i morti che non ci siamo ricordati, i morti per i quali non ci siamo curati di scrivere una storia, esistono ancora. Questa storia l’hanno scritta loro, questo discorso l’hanno scritto loro.